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venerdì 29 marzo 2024

Chiesa di Santa Maria in Bressanoro - Castelleone

caratterizzata da un 'esuberante decorazione

Chiesa di Santa Maria in Bressanoro - Castelleone

Percorrendo un agevole sentiero in zona Bressanoro, poco distante dal centro abitato di Castelleone, ecco apparire quasi d'improvviso nel mezzo di un prato verde, delimitato da piante di alto fusto, la Chiesa di Santa Maria. Non è un caso che l'edificio sia stato edificato in un luogo che da sempre ha rivestito una notevole importanza nella tradizione religiosa del territorio circostante; l'esistenza di una chiesa nella "curte de Brixianorum" è documentata sin dal IX secolo.

L'edificio è un'imponente costruzione a mattoni a vista dove la tradizione francescana viene reinterpretata in sintonia con altri fattori: oltre al culto mariano ed alla committenza degli Sforza - apportatrice di una cultura rinascimentale a matrice toscana di cui il Filarete costituisce un punto di riferimento - si riconosce l'espressione di una dimensione di fede popolare, della devozione dei Castelleonesi accresciuta dalla predicazione di Amedeo Menez de Sylva (1429-1482) e dalle sue facoltà traumaturgiche. Questi elementi uniti ad altri caratteristici della tradizione architettonica lombarda (la semplice fronte a capanna, il tiburio ottagonale) definiscono l'humus culturale cui avrebbe attinto l'architetto di Bressanoro, un artista tuttora anonimo, ma certo da annoverarsi tra le maestranze al servizio della committenza sforzesca. Le informazioni che si traggono dalla letteratura critica che riguardano Santa Maria ed ancora dibattute riguardano la cronologia precisa della costruzione ed il ruolo dei personaggi coinvolti, il beato Amadeo Menez de Sylva, i duchi Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza. Tuttavia sembra ormai assodato che la costruzione della chiesa non ebbe inizio molto prima del 1465 e che la Duchessa, promotrice spesso di opere religiose, possedeva in Castelleone una residenza. Molti racconti sono stati diffusi sull'originale voto espresso dalla Duchessa che volle, per la guarigione della figlia, erigere un tempio a somiglianza della chiesa di S.Maria di Guadalupe, frequentata dall'Amadeo al momento del passaggio a vita religiosa. 

Il ruolo di Francesco Sforza dovette invece essere definito in un secondo tempo, quando emerse la sua determinante posizione di patrocinatore finanziario. L'aspetto di straordinaria novità della chiesa di S.Maria in rapporto con gli edifici religiosi coevi lombardi consiste nella particolare configurazione planimetrica basata su un'innovativa pianta a croce greca libera in cui il corpo di base è costituito da un ampio quadrato sui cui quattro lati si aprono altrettanti vani quadrati, di minori dimensioni, che vanno a costituire i bracci della croce, ognuno dei quali sormontato da una cupola non estradossata. Il vano più ampio è quello al centro della croce sormontato dalla cupola a cui corrisponde esternamente il poderoso tiburio.

Il coro poligonale, così come il campanile, sono un'aggiunta posteriore degli anni 1505-1515. La configurazione della chiesa forniva il modulo base anche per gli edifici del convento (distrutti totalmente in seguito alla soppressione del 1810) attenendosi alle forme locali per quanto concerne l'alzato, come pure nella decorazione e conformazione delle cortine esterne. La singolarità dell'insieme architettonico della chiesa non dipende dal fatto di essere una fondazione amadeita - basti pensare alla chiesa dell'Annunciata fondata dal Beato a Borno - ma l'unicum di S.Maria si evince sia a livello architettonico che decorativo. Nel primo caso si decise di non seguire la costruzione che poi sarà tipica delle chiese amadeite (dal 1469 al 1500) - e cioè il modulo delle chiese bernardine - ma un modulo concepito dal suo architetto con personale libertà di sperimentazione della conquista rinascimentale di nuova dimensione antropocentrica dello spazio.

L'altro elemento che contribuisce a dare singolarità all'insieme architettonico della chiesa di S.Maria è la presenza di preziose ornamentazioni fittili. L'uso della terracotta largamente presente nella chiesa è caratteristico dello stile lombardo che nelle città cremonesi portò a una diversa concezione dei motivi con cui impiegare la decorazione. Le terracotte disposte in diverse parti dell'edificio sono opera dei costruttori lombardi dell'epoca, di cui Rinaldo De Stavolis è stato uno dei più importanti plasticatori cremonesi della seconda metà del XV secolo, attivo nella Certosa di Pavia e forse anche nel filateriano Ospedale milanese. La terracotta rappresenta il motivo di sottolineatura di ogni elemento architettonico, ricorrendo sulle ghiere degli archi, alla base delle cupole, lungo le lesene della facciata.

Dove la decorazione fittile si esprime in tutta la sua bellezza è certamente il portale costituito da cinque fasce di terracotte affiancate l'una all'altra in cui vengono ripresi i motivi cari al De Stavolis ma anche agli Sforza, in particolare la foglia d'acanto affiancata al tortiglione oppure racchiusa da rosette. L'esuberanza decorativa trova la sua pienezza nell'arco acuto sovrastante l'unica apertura dell'edificio dove pastose formelle con putti rampanti su tralci di vite lo incorniciano in tutta la sua altezza.
L'esuberante decorazione che non trova confronto con altre costruzioni coeve milanesi non viene a contrastare l'idea informatrice del severo parametro esterno. Di carattere più popolare sono gli affreschi che ornano il vano centrale della chiesa databili all'ultimo quarto del secolo XV. Sono opera di un anonimo, riferibili ad un ambito locale o comunque lombardo padano e disposti in tre fasce di raffigurazioni dalle Storie di Cristo agli Evangelisti ai Santi francescani.

Con il loro svilupparsi tutt'attorno al vano presentano una collocazione decisamente anomala che va ricondotta alla particolare impostazione a pianta centrale della chiesa. Lungo le quattro pareti del vano centrale, con una disposizione "circolare", si narrano le Storie di Cristo suddivise in ventinove episodi, presenti in otto scene sulle pareti occidentale, settentrionale e meridionale, frutto verosimilmente della collaborazione di più frescanti al seguito di un maestro più esperto.

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